Fringe FF: Capitolo 3 The Tin Man Finds His Heart
Capitolo
3
Quel
primo viaggio in un passato molto vicino al nostro mi aveva lasciato
addosso una sensazione strana non tanto per la vista di quello strano
ragazzo, fu per la guerra.
Non
era una cosa a cui era abituato e non la comprendevo, è sempre stata
fuori dai miei schemi, l'avevo studiata, ma mi è sempre sembrata
illogica forse perché non avevo mai dovuto lottare per qualcosa.
Ho
sempre avuto una vita tranquilla, in mezzo agli studi e tra i vari
laboratori, non ho mai neanche girato tanto il mio mondo, non mi è
mai interessato.
Sono
quello che definirete un topo da laboratorio.
Ho
iniziato a vedere all'esterno di questo laboratorio quando iniziammo
a viaggiare nel tempo, allora sì che cominciai ad essere affascinato
dai luoghi, sia da quelli naturali che da quelli creati dall'opera
dell'uomo.
Ricordo
che passai una giornata intera ad ammirare l'architettura di Mont
Matre, scordandomi persino di mangiare, ero affascinato
letteralmente.
Quelle
cupole bianche, quella pura magnificenza creata da uomini vissuti
secoli addietro mi colpì nel profondo lasciandomi dentro anche una
strana sensazione.
Avrei
voluto fare anche io qualcosa per essere ricordato in eterno.
Dopo
il viaggio nel 2036 passai giorni e giorni sui miei grafici, non
parlando con nessuno, cosa di cui nessuno si accorse, erano tutti
troppi impegnati ad organizzare il prossimo viaggio, quello che non
sapevano era che pure io stavo organizzando un viaggio.
Non
sapevo niente di concetti come libertà od autodeterminazione dei
popoli, sapevo solo che non mi era piaciuto vedere persone della mia
razza spadroneggiare in quel modo su altri uomini, trattandoli come
esseri inferiori, usandoli come cavie ed arrivando a ridurre il mondo
in quel modo.
Finalmente
capivo perché non potevano uscire molto, perché l'aria e l'acqua
erano avvelenate e perché vivevano sempre richiusi.
Eravamo
stati noi.
O
meglio alcuni di noi.
Non
potevo permettere che avvenisse.
Passai
un'ora a fissare il cielo plumbeo dove il sole non si vedeva quasi
più e ripensai invece al sole che avevo visto solo seicento anni
prima.
Era
malato, ma era vivo.
Mentre
gli altri dormivano andai nel laboratorio della Macchina del tempo,
ma prima disattivai allarmi e telecamere, facendo in modo che nessuno
si accorgesse del mio passaggio e dopo un'ultima occhiata
preoccupata, digitai la data che avevo memorizzato facilmente poche
ore prima e poi partì.
Mi
ritrovai in una Boston diversa da quella che avevo intravisto dalle
finestre del nostro palazzo e diversa anche da quella del 2036, era
una città caotica, stracolma di gente ed inquinata, ma era come il
suo sole.
Non
ero lontano da dove avevo intravisto Il Ragazzo, l'università di
Harvard, sapevo che si rifugiavano spesso in un laboratorio
sotterraneo così con molta facilità lo raggiunsi, ma purtroppo non
trovai lui.
C'era
solo un uomo più anziano, in pigiama, che si stava preparando la
colazione e a giudicare dai lineamenti doveva essere il padre del
ragazzo.
Mi
avvicinai con apparente calma ma lui subito se ne accorse e mi
domandò
-Suppongo
che tu non sia venuto per un panino
-Dovete
avvisare gli altri. Loro stanno arrivando.
L'uomo
mi guardò stupito
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