"L'ultima amante di Hachiko" di Banana Yoshimoto




Ennessimo regalo della mia cara Simona per la mia tesi di laurea. Sono diversi i libri che ho in arretrato, al più presto vorrei riprendere la saga dei Malaussène, però questo romanzo mi è arrivato tra le mani sfogliando tutti quelli che ho.
E' una storia lieve, tenera, malinconica, dal sapore orientale. Ci sono visioni a volte più reali del reale. E ci sono momenti in cui sembra di vivere sospesi.
Lo stile della Yoshimoto ha qualcosa di Miyazaki, Satoshi Kon e Haruki Murakami e a tutto questo aggiunge il suo tocco personale, molto femminile, molto delicato, che rende il tutto più sfumato e nel contempo più nitido.
ATTENZIONE SPOILER


"L'ultima amante di Hachiko" ti fa entrare nelle vicende della protagonista, Mao, lentamente, quasi accompagnandoti con lei, passo dopo passo, partendo dal suo cinismo e la sua voglia di rivolta verso il mondo e l'ambiente che la circonda, una setta chiamata "Il villaggio dell'amore", fondata dalla madre in "omaggio" ai poteri di veggente della nonna, la quale ha sempre poco gradito quell'ambiente, dimostrandolo con i suoi continui dialoghi dall'aldilà con la nipote.
Mao scappa di casa perché anche lei, come dicevamo, non sopporta quei luoghi, ha bisogno, ha sete di libertà, di conoscere il mondo e quasi per caso incontrerà la sua "madre" spirituale e Hachiko, fondando con loro due e poi, con quest'ultimo, una sorta di piccola famiglia, con cui esplorare la città.
Sarà davvero la sua ultima amante per Hachiko, proprio come aveva previsto sua nonna, dato che il giovane ha deciso di andare in India per rinchiudersi in una comunità ascetica. Una cosa davvero lontanissima da noi e dal nostro modo di pensare che però riusciamo a sentire così vera grazie allo sguardo della stessa Mao, sottile alter ego dell'autrice.
Tra i personaggi che spiccano vi è l'italiano Alessandro Genevrini, che, per fortuna, non presenta quasi nessuno dei luoghi comuni tipici del nostro paese. Non mangia spaghetti, non è mafioso, non beve caffè, non ride sempre. E' un personaggio anzi ben costruito, il cui unico luogo comune è quello che, in quanto italiano, ama l'arte, cosa niente affatto offensiva, anzi. E l'arte la ama davvero, in ogni sua forma: dalla pittura (incoraggiando la giovane protagonista Mao) alla scrittura, passando per l'amore per il cinema. Affascinante poi come venga demolito lo stereotipo dell'italiano tombeur de femmes, magari pure un po' violento: Mao, conoscendolo bene, capirà che l'uomo rispetta sul serio le donne.
Malinconica e straziante l'ultima parte del libro quando Mao e Hachiko si separarano, con lei che affonda nel dolore e pare incapace di riprendersi, ma che ritrova poi la voglia di vivere proprio grazie all'amico italiano e alla di lei compagna. Davvero molto bella l'immagine di loro due che mangiano insieme la caldarroste in attesa della ragazza. Un'immagine così nitida che pare quasi di toccarla.
E ho apprezzato non poco anche il riscatto che l'autrice regala alla madre di Mao, che tira fuori l'orgoglio e si porta via le ossa della mamma (la nonna di Mao) e la scritta "Il villaggio dell'amore" dalla casa che ormai non era più sua da tanto tempo, fuggendo insieme alla figlia.
Un inno alla vita, in tutte le sue sfacettature, anche quelle più dolorose e un inno al creato, dove la natura finisce quasi per abbagliarti con la sua bellezza e potenza.
Voto 8

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