Serie tv Usa vs Eu: In Treatment Usa vs Ita


Per la prima volta parliamo finalmente di una serie italiana in questa nostra rubrica. Una serie che, per noi, è stata un piacevole scoperta. Dopo avere visto la versione statunitense, scritta e recitata molto bene, eravamo molto prevenute riguardo alla versione nostrana. Temevamo che gli autori non avessero il coraggio di toccare certe tematiche e di usare un linguaggio tanto forte. Ci siamo sbagliate. E ne siamo davvero felici. Perché sì, il confronto si presenta impari, ma, incredibile a dirsi, chi vince è proprio la versione italiana. E saremmo liete di spiegarvi perché.
In Treatment
Wall della socia Krish/Simo
Sia la versione statunitense che la versione nostrana sono dei remake diBetipul, una serie israeliana, ideata da Hagai Levi, andata dal 2005 al 2008 e vedeva protagonista Assi Dayan nei panni dello psico-terapeuta Reuven Dagan, che aveva le sedute con i suoi pazienti cinque giorni la settimana, al termine della quale lui stesso si sottoponeva a delle sedute.
L’impianto dei due remake è lo stesso ed è bene ricordare che vi sono almeno una dozzina di adattamenti della stessa storia: si va dagli Usa, al Centro Europa, Giappone, Russia, Argentina, Brasile e ve ne sono ancora altri.
In Treatment Usa è ideata dallo stesso Hagai Levi, vedeva tra i produttori esecutiviMark Walkberg, è andata in onda dal 2008 al 2013  HBO e aveva per protagonisti Gabriel Byrne nei panni dello psicologo Paul Weston e Diane Wiest nei panni di Gina Toll, mentore e terapista di Paul.
La versione italiana va in onda su Sky Atlantic, è prodotta da Wildside, creata da Saverio Costanzo, il quale ha anche diretto tutti gli episodi e ha per protagonista Sergio Castellitto che interpreta il dottor Giovanni MariLicia Maglietta è invece la sua mentore, analista e amica Anna e Katia Smutniak la problematica paziente di Giovanni, Sara.
Le due serie sono scritte molto bene, i dialoghi e alcune scene sono quasi identici, poi lentamente iniziano a differenziarsi con piccoli particolari che possono non saltare all’occhio dello spettatore meno attento.
Paul si presenta sin da subito come il terapista freddo e impersonale quasi a voler ricalcare la tradizionale figura dell’analista di tipo freudiano che deve anteporre una sorta di barriera tra se e il paziente, viceversa Giovanni sembra essere più coinvolto offrendoci il ritratto di un analista che non solo non ha paura di interagire in maniera del tutto normale con il suo assistito ma capace anche di anteporre limiti precisi, non di maniera, appellandosi palesemente al codice deontologico professionale. Anche Paul parla di barriere etiche, ma il suo modo di fare ricalca il suo atteggiamento, nulla pare turbare il suo aplomb, in apparenza, perché poi Byrne è bravissimo a mostrare il suo imbarazzo quando il paziente di turno supera tali confini, imbarazzo che si vede  prima di tutto dallo sguardo e poi quando si sfogherà in privato con l’amica Gina. Paul ci mostra un atteggiamento tipicamente anglosassone: il lavoro e i rapporti interpersonali viaggiano su binari diversi, ma l’animo umano resta comunque sconvolto da certe cose e ha bisogno di alcune valvole di sfogo nel privato. E’ pur vero che in alcuni frangenti inviterà il suo paziente a lasciarsi andare al pianto e gli porterà una coperta, ma il tutto sembra più legato all'atteggiamento benevolo e professionale del bravo terapista, non ad altro.


Giovanni, invece, si lascia andare un po’ di più, venendo forse troppo coinvolto fin da subito e coltivando poi rimorsi per non poter aiutare sempre il proprio assistito, turbandosi per non averlo capito fino in fondo. Castellito ci offre una performance eccellente, tirando fuori tutta una vasta gamma di sentimenti che coinvolgono lo spettatore nei suoi casi.
Tra i pazienti più problematici vi è per Paul, Laura, interpretata da Melissa George, la quale non riesce a far empatizzare lo spettatore con il suo personaggio, non sappiamo se dipende dai modi bamboleggianti e ridondanti dell’attrice, fatto sta che proprio non ci ha convinte. E non è per quello che racconta perché la versione italiana del suo personaggio, Sara, a cui appunto presta il volto una sorprendente Katia Smutniak convince eccome. Si dimostra una donna sensuale, capace di lanciare lievi provocazioni al terapista, che balzano immediatamente alla vista dello spettatore. Una donna viva, intelligente, capace di farci entrare perfettamente nella sua psiche. Le vicende narrate sono le stesse identiche, cosa che ci ha sorpreso e spiazzate, convinte come eravamo che in Italia non fosse possibile trattare certe tematiche con tranquillità. In Italia è possibile farlo e l’interpretazione della Smutniak ce le restituisce senza prestare il volto a facili moralismi.
Il rapporto tra i due terapisti è una delle basi portanti delle due serie e viene scandagliato in maniera diversa, nonostante i dialoghi siano molto simili: il confronto tra Gina e Paul è freddo e distante, quello tra Anna e Giovanni è più caldo e coinvolgente, sembrano davvero due vecchi amici che parlano dei propri problemi personali, un duello tra due menti brillanti e una sorta di battaglia di fioretto mentale.  Senza nulla togliere alla bella performance di Byrne, quest’ultimo pare un po’ troppo prigioniero del ruolo in ogni istante, tanto che tutte le interazioni con i personaggi risentono di questo e quindi, per quanto mostrato, il conflitto interiore tra l’essere umano e lo psichiatra risulta molto, troppo sfumato, appena appena palpabile. Castellitto, invece, è molto coinvolto, pur lasciando molto trasparire il lato professionale del suo personaggio, che non viene mai meno. L’ alchimia con la Smutniak e la Maglietta poi è molto forte, si percepisce a pelle, ma questo non avviene solo con le interpreti femminili. L’esempio lo abbiamo con il secondo paziente sia di Paul sia di Giovanni. Nel primo caso abbiamo un soldato, reduce dall’Iraq  che ha sganciato per sbaglio una bomba su una scuola islamica. Lui vorrebbe tornare a sorvolare la scuola forse per espiare. Nel secondo caso Giovanni ha a che fare con un carabiniere che ha dovuto lavorare sotto copertura per sgominare una banda mafiosa che aveva agganci anche in Germania. Suo malgrado è costretto ad uccidere un membro della banda che considerava un fratello, assistendo anche alla strage della famiglia di quest’ultimo,  e, non solo continua a nascondere i suoi sensi di colpa per non esser riuscito a salvare quest’uomo, ma pare mettere continuamente alla prova il terapista. Giovanni ad un certo punto decide che ne ha abbastanza di tutta quella tensione da esaminando e dice al paziente chiaramente che sa che lui lo sta mettendo sotto esame sin da quando è entrato nello studio.
Se è normale che negli Stati Uniti si resti più coinvolti per un racconto sulla guerra in Iraq, è ovvio che per noi è più toccante, più sentito, più vicino alla nostra realtà il racconto sulla mafia, tuttavia non è un quello che ci ha colpito di più. Alla fine, per quanto sconvolgente, ciò che è accaduto al soldato non era totalmente vicino a lui, in quanto non ha assistito alla morte degli alunni di questa scuola, mentre il carabiniere ha dovuto agire proprio in prima persona, pur cercando di fare il suo lavoro. Inoltre coinvolge il suo terapista in uno scontro verbale, quasi per metterlo alla prova, forse perché si sente indegno di essere capito e cerca di farsi odiare. Chissà.
Per noi è stata davvero una piacevole sorpresa questa sfida. Credevamo di dover stroncare l’ennesimo sotto-prodotto nostrano a vantaggio della solita bella serie made in Usa e invece ci siamo dovute ricredere. Tutto questo è la riprova che in Italia scrittori e attori di talento non mancano, ciò che manca sono produttori lungimiranti come quelli di Wildside. La tv generalista, spiace dirlo, non produrrebbe mai una serie del genere. Dunque, lunga vita a Sky Atlantic, di cui attendiamo con grande curiosità la nuova serie Gomorra.
In Treatment Usa è andato in onda, da noi, su Cult e Fox Life.
In Treatment Ita andava in onda su Sky Cinema e da quest’anno è appunto su Sky Atlantic.


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