"La Grande Bellezza" di Paolo Sorrentino
La
grande bellezza (2013)
[Italia, Francia
2013, Drammatico, durata 150']
Regia di Paolo Sorrentino
Con Toni Servillo, Sabrina Ferilli, Carlo Verdone,
Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Massimo De
Francovich, Roberto Herlitzka, Isabella Ferrari, Franco Graziosi, Giorgio
Pasotti, Massimo Popolizio, Sonia Gessner, Anna Della Rosa, Luca Marinelli,
Serena Grandi, Ivan Franek, Vernon Dobtcheff, Dario Cantarelli, Lillo Petrolo,
Luciano Virgilio, Giusi Merli, Anita Kravos, Giovanna Vignola, Leo Mantovani,
Giorgia Ferrero
Comincio
con il dire che ero molto prevenuta riguardo a questo film, in primis proprio
perché è dichiaratamente felliniano e io non amo Fellini, troppo opulento,
fantasioso ed esagerato persino per me che amo il fantasy e la fantascienza. E
non sono mai stata neanche una super fan di Sorrentino, grande regista, ma, per
me, sopravvalutato: a suo tempo amai molto “Le conseguenze dell’amore”, quello
che, a tutt’ora, considero il suo film migliore, ma, lo dico onestamente, mi
piacque molto di più quel piccolo gioiello chiamato “Dopo Mezzanotte” di Davide
Ferrario.
La
seconda premessa è che per me questo film non è un capolavoro, non lo dico per
fare la bastian contraria, ma semplicemente perché ho imparato a usare questa
parola con molta prudenza e questo film ha dei piccoli difetti che non mi
permettono di considerarlo tale: è oggettivamente di una lentezza devastante,
se nella prima mezz’ora la cosa ci sta perché tale lentezza è utile ai fini
della storia, nell’ultima no, si poteva benissimo tagliare e il messaggio
sarebbe rimasto intatto.
Finite
le premesse vi posso dire che mi sono innamorata di questo film, non lo credevo
possibile, non per la lentezza, che io amo se ha uno scopo, ma per tutte le
premesse sopracitate, però ho deciso di lasciarmi andare oltre i pregiudizi e
lentamente sono stata catturata da una storia molto semplice, eppure
emozionante, disarmante, malinconica eppure ottimista.
La
storia dello scrittore e giornalista Jep(Il solito immenso Toni Servillo) è la
storia della nostra Italia, un paese dal passato splendido, che preferisce
vivere nello squallore e crogiolarsi nel passato, è uno squallore devastante
quello che ci viene presentato, senza sconti, senza facili sentimentalismi. La
vuotezza delle feste a cui lo scrittore partecipa lascia addosso un senso di
schifo nauseabondo, una noia tremenda, vorresti scappare via subito e di corsa,
senza dargli la possibilità di continuare a raccontare la sua storia perché è
Jep che racconta con sguardo triste e sorriso amari, quasi tragici, la sua vita
“devastata” e fatta di “niente” per usare le sue parole. Non ha voluto più
scrivere per diventare il re dei mondani, ha voluto diventare tale: Jep non si
nasconde, non finge di possedere ideali che non ha, si è lasciato andare
all’opulenza, del divertimento folle che alla fine lo lascia sempre più vuoto,
incapace di coltivare l’unica sua vera passione, la scrittura.
Amaro,
amarissimo il suo sfogo durante una festa, l’ennesima, a cui partecipa:
“Guarda
questa gente, questa fauna. E’ la mia vita e non è niente. Flaubert voleva fare
un libro sul niente e non ci è riuscito. Posso riuscirci io?”
Eppure
lentamente qualcosa riaffiora, è un percorso tortuoso e difficile, che parte
proprio dall’auto consapevolezza di Jep, che sembra poco e invece significa
tutto: sarà banale ma solo chi conosce i propri limiti, il proprio squallore
interiore può risalire la china, chi fa finta di non vedere, non ce la farà
mai. Ed è una bordata questo messaggio. Una bordata all’intero paese: a chi
partecipa alle feste ma anche alla gente comune. “Tu puoi cambiare, ma devi
guardarti dentro, devi riconoscere ciò che hai di sbagliato ma anche la tua
bellezza interiore”
Sorrentino
ha il coraggio di dare un messaggio positivo tramite un personaggio
all’apparenza squallido, un messaggio che emerge tra le passeggiate all’alba in
solitaria di Jepp, in quelle notturne con la malinconica amica spogliarellista
Ramona (non è mai stata un fenomeno Sabrina Ferilli, però qui è molto intensa,
quasi commovente), personaggio stereotipato eppure vero, piccola coscienza dei
diversi, non tanto diversi, che si commuovono davvero di fronte allo splendore
di statue e quadri antichi che emergono nell’ombra della notte di una Roma
splendida, decadente, che attende il risveglio di qualcuno che la saprà
riscoprire per quello che era e per quello che può essere ancora.
E
la piccola Ramona riesce con un racconto divertente anche a demolire il mito
del super macho calciatore facendo intendere che certi sono più bravi con i
piedi che a far l’amore. Scena davvero spassosa.
Un
messaggio che emerge anche dalle parole dell’amico scrittore Romano,
interpretato da un Carlo Verdone in stato di grazia, che, per la prima volta,
mi convince totalmente come attore drammatico: quando dice di essere stato
deluso da Roma mi è venuto un groppone enorme. Quanto deve essere costato
all’uomo Verdone dire questo? Lui che ama così tanto Roma? Eppure lo dice con
una convinzione e una tragicità che ti colpiscono al cuore.
C’è
chi dice che Jepp rinasce solo alla fine, quando perde, in maniera diversa, gli
unici amici sinceri che ha, Ramona e Romano, eppure il percorso nasce da prima,
la loro perdita è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso di una vita
triste, di un bisogno di scappare, di una boccata d’aria genuina che arriva da
una piccola suora missionaria, magari un po’ troppo tetra e quasi mummificata,
una persona che ha speso la sua vita per gli altri e parla a cuore aperto di
Jep, vuole farlo tornare a scrivere, perché ha amato il suo libro, lui le dice:
“Ho smesso di scrivere perché cercavo la grande bellezza, ma non l’ho trovata”
e lei semplicemente, banalmente: “Sai perché mangio solo radici? Perché le
radici sono importanti”.
E
lì arriva la svolta Jep comprende che dentro di se ha sì il grande squallore,
ma anche la grande bellezza, deve solo tornare indietro, toccare l’uomo che era
e che vive ancora dentro di lui, che non è mai morto del tutto, come non è
morta Roma e non è morta la nostra Italia.
Sì,
possiamo tornare indietro a quando eravamo grandi perché sappiamo vedere i
nostri vizi, le nostre cadute e sappiamo ancora vedere il bello che abbiamo
saputo dare al mondo e che vive ancora dentro di noi.
Grazie
per queste emozione intensa Sorrentino.
E’
un messaggio semplice, già visto, forse banale e i tuoi personaggi non sono
originali, sono anche stereotipati, eppure il messaggio vale tanto, soprattutto
in momenti duri come questi.
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