We are your home - mio racconto su Fringe
Questa mia fanfiction nasce dalla ripetuta visione dell'ultimo episodio, il 4x12, spero tanto che possa piacere a qualcuno oltre che alla nostra cara Krishel che mi ha aiutato parecchio nella stesura.
C'è una scena un po' ehm piccantina ... buona lettura
We are your home
Boston, Harvard, 6 a.m., Febbraio 2012.
Era
una mattina gelida, come spesso avveniva da quelle parti cosicché nel suo
piccolo laboratorio il dottor Walter Bishop aveva alzato al massimo i
caloriferi mentre preparava le crepes con la sua padella speciale e ascoltava,
a tutto volume, una suonata di Bach che aveva registrato alcuni anni prima.
Astrid
era arrivata piuttosto presto anche lei e stava cercando di dare una parvenza
umana agli uffici laterali dove dormiva Walter, che, sembrava preda di una
strana agitazione nonostante stesse facendo delle cose a lui care.
La
giovane assistente non gli badò, abituata com’era alle sue stranezze,
continuando a rassettare un po’ dappertutto tanto da non accorgersi dell’arrivo
di Peter.
“Ciao
Walter” fece il giovane Bishop con grande allegria entrando nel locale.
“Ciao
Peter” replicò prontamente lo scienziato con un grande sorriso, che però non
riusciva a celare un certo nervosismo.
“Qualcosa
non va?” domandò il ragazzo.
Walter
scosse la testa.
“Sto
facendo le crepes, stavolta le mangerai con me”
“Come
promesso, assolutamente” disse Peter sperando di poter tornare poi al più
presto all’argomento a lui caro, ovvero la macchina e i suoi tentativi di
tornare a casa.
Walter,
dal canto suo, pareva totalmente concentrato a cucinare, ma nella sua testa
vorticavano mille pensieri angosciosi.
Quella
macchina.
Quella
dannatissima macchina.
Chinò
la testa senza far vedere che era agitato mentre Peter provava ad aiutare
Astrid, i due scambiarono due parole di cortesia, poi il giovane tornò dallo
scienziato che gli porse la prima crepes fumante insieme al suo cocktail di
nuova invenzione.
Il
giovane sorrise, prese il piatto e iniziò a mangiare di gusto, sentendosi come
a casa e presto lo sarebbe stato.
Come
gli mancavano i suoi Walter ed
Olivia.
Scosse
la testa pensando a quanto era avvenuto la sera prima a casa della loro Olivia, temeva che la sua presenza
lì stesse causando solo confusione in quella gente, non poteva rimanere un
giorno di più in quella timeline, rischiava di creare problemi e bastava.
E
poi la loro Olivia era interessata a Lincoln, non poteva permettersi di
rovinare la loro storia, non era giusto, lui voleva solo la sua Olivia e il suo Walter.
Lo
scienziato, nel frattempo, si era messo a mangiare anche lui, continuando a
guardare di sottecchi Peter e ciò accrebbe la sua tensione.
Che
cosa poteva fare?
Peter
pareva determinato ad andarsene a casa sua
e lui sarebbe stato di nuovo solo, chiuso in se stesso, senza un vero
scopo, una vera ragione in cui credere.
Ripensò
ai quei pochi giorni in Vermont, a come erano stati affiatati lui, Peter ed
Olivia, non voleva perdere tutto questo, solo che non sapeva come fermarlo,
temeva che ogni sua parola sarebbe risultata falsa e vuota.
Forse
era per quello che aveva preferito prima agire, così forse gli sarebbe stato
più semplice parlare.
Peter,
intanto, aveva finito la sua colazione.
“Buone,
davvero, complimenti”
“Grazie
Peter, ma resta pure seduto, tanto finora non ci sono casi in giro”
“Beh
posso darti una mano…” troncò la frase a metà nell’avvicinarsi al dottor
Bishop.
Di
fianco a lui c’era il dispositivo a cui avevano lavorato il giorno prima ed era
in pezzi.
“Walter
che è successo?”
Lo
scienziato deglutì a vuoto.
“E’
caduto, mi spiace, non me ne sono accorto”
Il
giovane Bishop spalancò gli occhi.
“Non
te ne sei accorto?” la sua voce tremava mentre raccoglieva ciò che restava del
loro lavoro.
Pareva
che qualcuno l’avesse preso a martellate.
Fulminò
con lo sguardo Walter
“Perché???”
“Io…
io non posso lasciarti andare”
“Ma
io voglio tornare a casa mia: non avevi nessun diritto di fare una cosa del
genere! Avevi promesso che mi avresti aiutato!” il tono della voce di Peter era
salito di un’ottava, segno evidente del suo crescente nervosismo.
“Ascolta…
siamo anche noi Walter ed Olivia, no? Cosa cambierebbe?” ma perché diamine
stava girando intorno alla cosa? Doveva parlare in maniera più chiara.
“Cambierebbe…
insomma come fai a non capire? Rivoglio la mia famiglia! Voglio tornare a casa
mia!”
Walter
si avvicinò al giovane guardandolo fisso negli occhi
“Sei
tu che non capisci: sei già a casa!” ecco lo aveva detto. Adesso doveva solo
attendere la sua reazione.
“Cosa
dici? Stai scherzando? Sono stato trattato da Fringe Event, Olivia mi
considerava uno sconosciuto e tu neanche mi guardavi in faccia: e tu mi dici
che sarei già a casa? Stai scherzando!”
Peter
fece per uscire dalla stanza, non voleva litigare con quel Walter, dopotutto lo capiva, comprendeva il suo senso di
smarrimento, era così simile a quello del suo
Walter, d’altro canto si stava veramente arrabbiando: una giornata di lavoro
buttata via e per cosa?
Adesso
avrebbero dovuto ricominciare da capo.
Walter
si avvicinò a lui a grandi passi, bloccandolo per un braccio.
“Anche
io ricordo tutto, come Olivia. Ricordo quel giorno quando andai nella nostra
casa vicino al Lago Reiden per cercare il mio dispositivo per mettere un tappo
al nostro universo.
Rammento
quando arrivasti e raccontandomi dei pancake a forma di balena che ti facevo,
mi aiutasti a ricordare dove lo avevo messo”
Peter
era rimasto pietrificato da quelle parole.
Doveva
aver sentito male.
Quelle
cose le sapeva solo il suo Walter.
Prima
la loro Olivia, ora questo Walter.
Non
aveva senso.
Non
poteva avere senso.
“Ricordo
quando ti portai a casa, dopo che l’osservatore ci aveva salvati dicendo che
eri importante. Adesso capisco più che mai quanto eri… sei importante” l’uomo
provò ad accarezzare il volto di Peter che si divincolò di scatto.
Non
era possibile.
Non
poteva sapere quelle cose.
“In
questi mesi mi avevano fatto credere che eri morto annegato per colpa mia.” Il
volto dello scienziato era una maschera di dolore.
Il
giovane Bishop non sapeva cosa dire, mille emozioni diverse gli vorticavano
nell’animo: smarrimento, rabbia, dolore, paura, ma anche… come poteva definirlo?
Sollievo? Gioia? Sorpresa? Non lo sapeva.
“Cerca
di capire” balbettò ancora Walter provando di nuovo ad avvicinarsi al figlio
che respinse un’altra volta la sua mano.
“Cerca
di capire???? Cerca di capire??? Ah certo io devo sempre capire tutto! Voi no,
vero? Non c’è mai nessuno che prova a capire me. Mi avete tutti voltato le
spalle, mi avete lasciato solo come un cane nella nostra casa mentre io come un
idiota provavo a tornare da voi!”
Lo
scienziato si avvicinò ancora, ma Peter lo spinse via.
“Lasciami
stare!” ringhiò correndo fuori dal laboratorio.
Walter
non provò neanche a fermarlo, si accasciò per terra, continuando a piangere
amaramente.
E
così lo trovò Astrid che subito corse ad abbracciarlo
“Walter…
che succede?” fece la donna spaventata.
“Ho
avuto mio figlio sotto gli occhi per mesi e gli ho fatto del male di nuovo”
biascicò senza riuscire ad alzarsi.
“Lo
so” replicò semplicemente la sua assistente.
“Ricordi
anche tu?” domandò stupito l’uomo alzandosi e mostrando i suoi occhi pieni di
lacrime. In quel momento sembrava avere cent’anni.
Astrid
annuì, abbracciandolo in silenzio.
Nel
frattempo fuori dall’edificio Peter era salito in macchina, partendo a razzo.
Voleva
di nuovo scappare via da tutto e da tutti.
Erano
riusciti a ferirlo mortalmente: ma perché non si ricordavano di lui? Cos’era
successo? Non doveva essere così importante per loro se lo avevano dimenticato.
Oppure
si stava sbagliando?
“In questi mesi mi avevano fatto
credere che eri morto annegato per colpa mia”
Quella
parole gli martellavano nella testa.
Chi
aveva fatto loro quello scherzo macabro e perché?
Tutti
quanti avevano dei ricordi falsi.
Tutti.
Vagò
senza metà per ore, dimenticandosi di mangiare, di bere e persino di dormire.
Un’altra
volta quel dolore terribile.
Quel
senso di perdita mostruoso.
Da
quanto ricordavano?
Non
da molto, evidentemente.
Fu
solo verso l’alba di due giorni più tardi che arrivò in un luogo che gli pareva
di conoscere.
Quel
bosco sì.
Scese
dall’auto, portandosi dietro una birra che aveva trovato nel baule posteriore,
poi si avviò in mezzo alle piante.
Gli
ci vollero diverse ore per arrivare alla sua meta, era come se avesse perso la
cognizione del tempo, ma anche dello spazio, eppure quel luogo era a lui
famigliare.
Si
ritrovò anche in mezzo ai rovi, neanche si accorse di essersi graffiato in più
punti sia sul viso che sulle braccia.
E
neanche si accorse che aveva iniziato a piovere da quasi un’ora.
Mentre
cercava di liberarsi dai rami, scivolò sulle foglie bagnate cadendo su una
grossa pietra.
Si
rialzò a fatica, senza neanche controllarsi.
Finalmente
lo vide.
Il
lago Reiden.
Da
lì era stato salvato due volte.
Si
lasciò cadere per terra, con la bottiglia di birra in mano, ancora
ermeticamente chiusa.
Poggiò
la testa sulle ginocchia.
Quel
senso di impotenza non gli piaceva per niente.
Prima
almeno aveva uno scopo, tornare a casa.
Adesso
lo aveva perso di nuovo.
“Mi aveva dato un posto che
potevo e volevo chiamare casa”
Non
sentì che la pioggia gli stava infradiciando i vestiti né il sangue che gli
colava dai vari graffi sul volto e sulle braccia.
Di
nuovo il dolore la stava facendo da padrone dentro di lui.
Alzò
leggermente la testa fissando il lago.
Il
lago della sua infanzia.
Sentì
dei rumori impercettibili provenire dalla boscaglia, ciò lo fece scattare in
piedi, ritrovandosi di fronte un osservatore che conosceva molto bene.
Era
l’amico di Walter.
“Non
cominciare con i tuoi gio…” provò a dire ma subito l’altro iniziò con la
tiritera.
“Sei
noi…” niente non c’era modo di avere una conversazione decente.
Furioso
si allontanò verso il lago.
“Mi
spiace” fece improvvisamente l’osservatore dietro di lui.
Quelle
parole lo lasciarono interdetto tanto che si voltò di scatto
“Ehh??”
“Mi
spiace Peter”
“Incredibile,
sai parlare, pensavo sapessi solo ripetere le cose a pappagallo” il tono del
giovane Bishop mostrava il suo evidente nervosismo.
“Abbiamo…
anzi hanno commesso un errore” continuò September.
“Chi?
Ah i tuoi amichetti” replicò Peter tornando a sedersi.
“Loro
volevano cancellarti, io gli ho fatto credere che era stato così, ma non ho mai
avuto intenzione di farlo”
“Gentile
da parte tua. Continua” adesso sì che era davvero interessato.
“Non
ti sto chiedendo di capire, loro agiscono secondo la logica. Hanno pensato che
eliminando te, avrebbero eliminato la causa, ma tu non sei mai stato la causa…
sei sempre stato la soluzione”
Peter
spalancò di nuovo gli occhi
“Di
cosa?”
“Della
guerra”
“Capisco”
“Anche
allora mi sgridarono per aver impedito al Walter dell’altro universo di essersi
accorto di aver trovato la cura, ma era necessario che fosse questo Walter a
salvarti”
“Perché?”
“Così
sei cresciuto come figlio di entrambi i mondi. Sapevo che non avresti mai
potuto sostenere una guerra contro il mondo della tua famiglia di origine”
“Perché
io? Cos’ho di speciale?”
“Sai
benissimo che non risponderò a questa domanda, non nel modo che vorresti
almeno. Ti posso solo dire che ho visto tutti i futuri possibili e senza di te
Olivia e Walter sarebbero caduti nel baratro dell’infelicità, lo hai visto
anche tu. E ho visto che senza di te questi due mondi si sarebbero distrutti a
vicenda”
Peter
lo guardò a lungo prima di fare l’ennesima domanda
“E
adesso? L’apocalisse sarà evitata?”
“Non
ho detto questo. Tu hai dato loro speranza. Sappi che c’è qualcosa di peggio
dell’Apocalisse.”
“Cosa?”
Mentre
terminava di fare quella domanda September sparì dalla sua vista.
Il
giovane tornò a chinare il capo, incapace di pensare o fare alcunché.
Due ore prima, laboratorio di
Harvard.
Il
dottor Bishop girava per la stanza, in preda all’agitazione.
Doveva
trovarlo, doveva parlargli.
Non
poteva perderlo di nuovo.
“Walter
calmati, per favore” disse Astrid mentre Olivia buttava giù l’ennesimo
bicchiere di liquore.
“Potresti
aiutarmi per favore?”
“In
che modo? Ci ritroviamo nella stessa situazione di due anni fa, con la
differenza che stavolta non abbiamo la più pallida idea di dove possa essere
finito”
Astrid
mise le mani sui fianchi.
“Non
posso credere che non sappiate dove trovarlo.” disse l’agente Farnsworth
guardando prima l’uno e poi l’altra.
Lo
scienziato si fermò a quelle parole.
“Hai
ragione mia cara, deve esserci…” incrociò lo sguardo della giovane Dunham.
Entrambi
annuirono.
“Ti
spiace se guido io?” domandò sempre più agitato.
Olivia
alzò il sopracciglio rimanendo senza parole mentre Astrid domandava
“Da
quando hai la patente Walter? Credevo non l’avessi rinnovata”
Lo
scienziato aprì il portafoglio tirando fuori il documento
“E’
sempre stata lì negli ultimi mesi, sotto il mio naso”
“Ho
capito l’antifona, andiamo” replicò Olivia avviandosi verso l’uscita insieme a
lui.
Lago Reiden, tre ore dopo.
Walter
ed Olivia scesero dalla macchina poco lontano dalle sponde del lago.
Era
lì.
Accovacciato
con la bottiglia in mano.
Bagnato
fradicio.
Fecero
per avviarsi insieme quando l’uomo si fermò
“Ti
prego, cara, fammi… fammi …”
Lei
annuì lasciandolo andare avanti da solo, osservando la scena da lontano.
In
fondo era meglio così.
Almeno
avrebbe pensato meglio alle parole adatte per scusarsi.
Intanto
lo scienziato si era avvicinato a Peter, che non si era mosso.
Stava
lì immobile a prendere quella maledetta pioggia.
Walter
si sentì male a vederlo così, aveva giurato a se stesso di non mostrare mai più
il suo lato peggiore al figlio e invece era riuscito a ferirlo a morte.
Si
levò il giaccone e lo avvolse in esso, vedendo che non reagiva male, lo
abbracciò.
“Mi
spiace Peter… mi spiace tanto”
Il
ragazzo si abbandonò all’abbraccio del padre, mentre lacrime scottanti gli
scivolarono lungo le guance.
“Non
lasciatemi più così solo” balbettò annientato dal dolore.
Gli
erano come piombati addosso quei terribili mesi di solitudine, una solitudine
atroce che gli aveva fatto vedere la loro piccola casa un’enorme caverna, buia
e tetra.
Aveva
cercato di starci il meno possibile.
“Mi
spiace figliolo … io non so cosa sia successo, ma ora siamo qui”
Peter
non disse nulla, continuando a piangere in silenzio, stringendosi ancora di più
a Walter.
Non
desiderava altro.
Solo
stare lì.
Si
era sentito di nuovo il bambino che lo aveva atteso per giorni e giorni quando
lui era troppo preso da altro.
E
le poche volte che tornava era per … per.
Non
voleva pensarci adesso altrimenti si sarebbe lasciato distruggere totalmente
dalla sofferenza.
Fu
in quell’istante che gli tornarono alla mente le parole dell’osservatore
“Ti posso solo dire che ho visto
tutti i futuri possibili e senza di te Olivia e Walter sarebbero caduti nel
baratro dell’infelicità, lo hai visto anche tu.”
Anche
loro si erano sentiti soli come lui, avevano provato il suo stesso identico
dolore, lo stesso identico senso di smarrimento e di perdita.
“Torniamo
a casa” disse a voce bassa.
Walter
annuì facendolo alzare, quando si accorse di una leggera smorfia sul suo volto
mentre lui gli aveva toccato il braccio destro.
L’uomo
guardò Peter, poi si mise ad esaminargli l’arto.
“Hai
il braccio rotto… cos’è successo figliolo?”
Il
ragazzo sbatté le palpebre nel tentativo di ricordare.
“Nel
bosco sono caduto su una pietra, forse è stato quello”
Walter
toccò meglio il braccio e subito il figlio saltò
“Mi
sa che è anche una frattura scomposta”
Si
strappò parte della camicia, raccolse un pezzo di legno e gli fece una
fasciatura di emergenza.
“Dobbiamo
andare in ospedale”
“Io…”
provò a dire Peter ma immediatamente il padre lo zittì.
“Non
si discute, andiamo in ospedale”
Il
giovane non fece più resistenza, annuendo debolmente: il braccio gli doleva
davvero tanto.
Ma
come aveva fatto a non accorgersene?
Nel
frattempo il dottor Bishop lo portò all’auto dove li attendeva Olivia con
l’ombrello aperto.
L’uomo
salì subito mentre i due si guardarono a lungo.
La
ragazza tirò fuori un fazzoletto dalla testa pulendogli il viso dalle lacrime e
dal sangue
“Come
ti sei conciato” fece sorridendogli ed osservando preoccupata la fasciatura di
emergenza che Walter gli aveva fatto al braccio destro.
Poi
buttò per terra l’ombrello e si baciarono sotto la pioggia mentre altre lacrime
cadevano dagli occhi di entrambi.
Un
bacio tenero, dolce eppure passionale.
Un
bacio di bentornato.
Perché
loro non potevano dirsi addio.
“Scusami
amore” si dissero a vicenda quando si staccarono.
Entrambi
scossero la testa divertiti, poi salirono in macchina lasciando guidare lo
scienziato mentre loro continuavano a stare abbracciati.
Arrivarono
all’ospedale di Boston verso mezzogiorno, qui il medico, come aveva previsto
Walter, diagnosticò a Peter una frattura scomposta, lo ingessò e gli diede un
analgesico.
Il
giovane gli aveva risposto a monosillabi, non gli piaceva stare in ospedale,
non gli era mai piaciuto, ma dopo la brutta esperienza di qualche mese prima
quando era stato trattato come una specie di presenza demoniaca un po’ da
tutti, tale disagio era aumentato.
Teneva
la testa bassa, evitando di incrociare lo sguardo di Olivia e Walter perché
sapeva che avrebbero letto tali emozioni dentro ai suoi occhi e si sarebbero sentiti
ancora più in colpa.
I
due, infatti, erano tormentati dai rimorsi per quello che, involontariamente,
gli avevano fatto passare.
Finalmente
il dottore dimise Peter, raccomandandogli riposo assoluto, il ragazzo annuì
stancamente, avendo la testa altrove.
Rientrarono
a Casa Bishop a pomeriggio inoltrato, la coda in ospedale era stata lunga, una
volta lì
lo scienziato si avvicinò al figlio notando
che scottava, senza dire niente salì le scale con molta dimestichezza recuperando
qualche abito pulito.
Quando
ridiscese le scale, il ragazzo si stava facendo asciugare da Olivia.
“Tutto
ok?” gli chiese la giovane
“Più
o meno” fece il compagno sorridendole con aria smarrita.
“Scotti”
disse Walter alle loro spalle.
Quando
Peter si voltò, l’uomo gli allungò i
vestiti che aveva preso.
“Mentre
ti cambi vado a preparare qualcosa”
Il
giovane non riuscì a replicare a quelle parole perché era come se gli avessero smosso
qualcosa dentro.
Olivia
lo guardava angosciata, doveva avere il cuore spezzato quanto loro.
“Sognavi
anche tu?”
Peter
annuì senza riuscire a parlare cosicché la Dunham lo aiutò a cambiarsi,
cercando il più possibile di evitare di toccargli il braccio.
Si
sentiva come se si fosse svegliato da un brutto sogno.
“Mi
spiace… mi spiace tanto amore” disse lei accarezzandogli la guancia.
Lui
scosse la testa.
“Sono
così stanco” fece con voce mesta e malferma.
“Lo
so” replicò la ragazza prendendogli il viso tra le mani. “Non so cosa sia
successo”
Alzò
la testa fissandola a lungo.
“Io
lo so”
“Cosa?”
“Quando
ero al lago è venuto uno degli osservatori. Mi ha detto che gli altri avevano
deciso di cancellarmi perché, per loro, era la causa della guerra, invece per
lui, era la soluzione”
Olivia
si alzò di scatto dal divano
“Si
sono permessi di giocare con le nostre vite così iniettandoci dei ricordi
falsi?”
Peter
annuì
“E’
assurdo… “
“Almeno
abbiamo uno di loro dalla nostra parte”
Olivia
tornò a sedersi prendendo per mano Peter.
“L’amico
di Walter… September, giusto?”
“Penso
di sì”
“Che
altro ha detto?”
Il
giovane Bishop chinò la testa imbarazzato
“Ha
detto che ha visto tutti i futuri possibili e che… che senza di me, tu e Walter
sareste…” non riusciva ancora a credere ad una cosa del genere anche se l’aveva
toccata con mano negli ultimi terribili mesi.
“Infelici.
Terribilmente infelici” concluse la sua compagna stringendogli le mani.
Il
ragazzo assentì con un breve cenno del capo.
“E
penso ti abbia detto che i due universi si sarebbero distrutti senza di te”
Peter
annuì ancora sempre più imbarazzato.
Olivia
lo baciò sulle labbra teneramente
“Ho
sempre pensato che fossi speciale”
Poco
dopo rientrò in salotto Walter con una scodella di zuppa fumante in mano
insieme a dei crostini e la allungò verso Peter
“Non
credere che non sappia che non hai mangiato niente in questi due giorni”
Il
giovane gli sorrise grato prendendola con la mano sinistra e poggiandola sul
tavolino, faceva fatica a parlare, era sfinito.
Lo
scienziato si avvicinò a lui e lo strinse delicatamente, evitando di toccargli
l’arto destro.
“Mi
spiace… mi spiace tanto, figliolo”
“Grazie
papà” la voce di Peter era un sussurro.
Quando
si staccarono il giovane Bishop iniziò a mangiare in silenzio.
“Porto
qualcosa anche per te, cara”
Olivia
annuì, ma il suo sguardo era concentrato su Peter.
Era
totalmente smarrito.
Walter
rientrò con due scodelle, una per se e una per la giovane, iniziarono a
mangiare anche loro, continuando a guardare il ragazzo.
Sembrava
sul punto di crollare.
“Cerca di capire???? Cerca di
capire??? Ah certo io devo sempre capire tutto! Voi no, vero? Non c’è mai
nessuno che prova a capire me. Mi avete tutti voltato le spalle, mi avete
lasciato solo come un cane nella nostra casa mentre io come un idiota provavo a
tornare da voi!”
Quando
terminò la sua zuppa, si avvicinò al figlio, toccandogli la fronte e
controllandogli il gesso.
“Devi
riposare un po’”
“Già”
le parole gli uscivano a malapena, però non voleva piangere di nuovo.
Lo
scienziato si voltò verso Olivia, che avendo finito anche lei la sua cena,
prese per mano Peter e lo condusse di sopra, facendolo sdraiare docilmente.
Si
infilò sotto le coperte con lui e subito il giovane Bishop si rannicchiò tra le
sue braccia.
Lei
era lì.
Walter
era lì.
Il
dolore se ne sarebbe andato.
Anche
se sapeva che ci voleva tempo.
Si
addormentò quasi subito, risvegliandosi nel cuore della notte.
Era
solo nel letto e la stanza gli sembrava di nuovo enorme.
Si
era dunque sognato tutto?
Non
poteva continuare così rischiava di impazzire.
Una
mano gentile gli sfiorò il viso coperto di cerotti.
“Amore
cosa c’è?” domandò Olivia a fianco a lui.
Peter
non riuscì più a trattenersi, si buttò tra le braccia di lei e pianse a
dirotto.
“Sono
qui… siamo qui amore va tutto bene” sussurrò la donna prendendo ad
accarezzargli i capelli.
Era
terribile vederlo così.
Lei
sapeva cosa stava provando.
In
quegli orribili mesi si era sentita come se le avessero strappato via una parte
di se stessa.
Forse
era per quello che si era attaccata a Walter.
Avevano
provato a sopravvivere insieme, ma tutti e due si sentivano morti dentro, come
se avessero perso la voglia di lottare, come se non avessero più scopo.
Lo
strinse ancora di più iniziando a piangere anche lei.
“Mi
sei… ci sei mancato tanto. Sentivamo un terribile vuoto dentro, non capivano
cosa fosse, non avendo memoria del passato, eppure era come se fossi sempre
dentro di noi. Mi spiace… mi spiace… mi spiace” balbettò baciandogli il volto
coperto di lacrime.
“Non
voglio più stare solo… ho bisogno di voi” farfugliò perdendosi negli occhi di
lei, senza però riuscire a fare niente.
“E
noi abbiamo bisogno di te.” fece baciandolo teneramente sulle labbra.
Il
giovane sorrise tra le lacrime, guardandosi intorno.
Ora
la stanza non era più un’enorme grotta buia.
“Lascia
che mi prenda cura di te” aggiunse Olivia sorridendogli.
Peter
annuì, mentre lei docilmente gli levava la maglietta e prendeva a baciarlo sul
torace.
Baci
lievi, piccoli, appena accennati.
Il
giovane chiuse gli occhi, lasciandosi andare alle premure della compagna.
Ella
intanto proseguiva il suo viaggio su quel corpo tanto amato e desiderato.
Catturò
tra le labbra uno dei capezzoli, fino a renderlo turgido, poi si concentrò
sull’altro e quando lo vide svettare tremante verso l’alto scese, baciandogli
il ventre e morsicando a più riprese l’ombelico.
Lentamente
gli sfilò la biancheria intima, poi si mise a guardarlo persa.
Gli
accarezzò le labbra con le dita
“Sei
così dannatamente bello”
Il
ragazzo sorrise chinando la testa di lato per celare il proprio imbarazzo.
“Mai
quanto te” balbettò ancora con lo sguardo basso.
Lei
gli prese le labbra baciando con passione rovente, adorava i suoi baci, adorava
ogni cosa di lui.
Anche
quella lingua maliziosa che ora giocava con la sua.
Peter
provò ad abbracciarla, ma saltò leggermente per il dolore quando mosse il
braccio destro.
Olivia
si accorse subito di quella smorfia.
“Ti
ho detto che devi lasciar fare a me” replicò con un sorriso tenero e malizioso,
per poi alzargli il braccio sinistro sopra la testa.
“Oggi
comando io” aggiunse facendo ridere il compagno.
“Come
volete agente Dunham, sono suo prigioniero” fece lui in un soffio.
Non
era affatto contrariato da quella situazione, anzi gli piaceva che una donna
splendida e speciale come lei lo stesse guardando in quel modo e lo stesse
baciando ovunque.
Le
sue labbra sul suo corpo nudo lo stavano facendo uscire di senno.
“Ti
amo” sussurrò Olivia continuando a baciarlo.
Il
giovane sorrise baciandola a sua volta.
“Mi
ami?” domandò ansiosa.
“Sì”
replicò sorridendole. Come poteva non amarla? Era la donna più bella e dolce
del mondo.
Gli
aveva dato uno scopo.
Gli
aveva dato una casa.
Gli
aveva anche ridato suo padre.
“Dimmelo.
Voglio sentirtelo dire” sussurrò bloccandogli il braccio sinistro sopra la
testa.
Peter
sorrise ancora, liberandosi facilmente di quella stretta, si alzò a sedere
sfiorandole la schiena nuda con la stessa mano e fissandola nei suoi bei occhi
verdi sussurrò
“Ti
amo”
La
ragazza sorrise perdendosi in quel mare blu che erano i suoi occhi.
Ecco
cosa gli era mancato.
Il
suo respiro caldo.
Quegli
occhi teneri e passionali insieme.
Le
sue mani su di lei.
Il
loro essere insieme anche nei momenti più difficili.
Delicatamente
lo spinse di nuovo a sdraiarsi.
“Prendimi
Peter” bisbigliò catturando di nuovo le sue labbra rosse e morbide, passando
velocemente la mano destra sul suo sesso e facendolo così rabbrividire di
piacere.
Lui
sorrise a quel contatto, dopodiché ricambiò il bacio provando a stringerla come
poteva, poi lentamente entrò in lei e iniziarono a danzare insieme di passione.
Finalmente
erano di nuovo un unico essere.
Il
resto del mondo non esisteva.
Fecero
il possibile per prolungare quel momento insieme, avvinghiati nella morsa della
voluttà.
Quando
diversi minuti dopo scemò si strinsero l’uno tra le braccia dell’altro.
“Va
meglio?” domandò Olivia accarezzandogli i capelli.
“Sì,
hon” replicò l’uomo poggiando la testa vicino al seno di lei ed espirandone il
profumo.
“Il
braccio?” chiese ancora.
“Abbastanza
bene” sussurrò baciandole la pelle.
“Solo
tu potevi non accorgerti di essersi rotto il braccio”
“Eh
lo so, sono unico” rispose facendole la linguaccia.
La
ragazzo rise divertita e lo baciò sulle labbra dolcemente.
Rimasero
a coccolarsi per diverso tempo in attesa del sonno che li vinse neanche un’ora
dopo.
Un
sonno senza più incubi angosciosi.
Gli
ultimi mesi erano stati cancellati.
Non
si erano accorti che Walter era passato a controllare come stavano e vedendoli
abbracciati insieme, aveva sorriso intenerito, poi se n’era andato in silenzio,
lasciandoli riposare.
Diverse ore dopo
Peter
ed Olivia scesero le scale insieme trovando lo scienziato intento a trafficare
in cucina, al solito in tenuta adamitica, anche se a metà.
I
due ragazzi sorrisero andandosi a sedere al tavolo dove poco dopo l’uomo si
raggiunse portando ad entrambi un invitante pancake con cacao e nocciole.
Vedendolo
il giovane Bishop allargò il sorriso
“Puoi
levarti i pantaloni se vuoi, ci sono abituato, anche se… anche se non mi pare
sia martedì”
Walter
gli mostrò il calendario
“Invece
sì… comunque se proprio insisti” fece levandosi i calzoni e buttandoseli a
lato.
Peter
scoppiò subito a ridere seguito a ruota dalla compagna
“Ben
mi sta!” scherzò divertito da quella visione.
“Già”
fece Olivia facendogli voltare il viso e baciandolo teneramente.
Lo
scienziato li raggiunse poco dopo, così iniziarono a mangiare tutti insieme.
Fu
solo in quel momento che si accorse di un particolare.
Si
voltò.
Il
suo letto era esattamente dove lo aveva lasciato mesi prima.
Non
fece domande, forse era stata Astrid, forse no: aveva importanza?
Guardò
Olivia e Peter.
Erano
di nuovo a casa.
Ora
potevano affrontare qualsiasi cosa, anche l’Apocalisse.
Fine
Commenti
@Giudi= grassie tesora. Mi fa piacere che trovi sensata la mia spiegazione e che le mie descrizioni ti facciano immedesimare nei personaggi, in primis Peter.
Un caro abbraccio ad entrambe