Il tempo NON esiste: è soltanto una magnifica illusione

Se ci dovesse capitare di chiedere a una signora in là con gli anni il motivo per cui la sua pelle non è più liscia e morbida risponderebbe senza dubbio "tutta colpa del tempo".

Alla base di questo e altri modi di dire risiede l'idea, ormai stabilmente radicata nella nostra cultura, dello scorrere inesorabile del tempo in un flusso continuo indipendentemente dalla volontà dell'Uomo. Uno sguardo più approfondito però lascia pensare che il tempo, più che una realtà, sembra essere una costruzione linguistica, non un fenomeno naturale. La storia della scienza mostra innanzitutto l'arbitrarietà della rappresentazione del tempo come una freccia che punta verso il futuro e in secondo luogo rende evidente l'intuizione di molti filosofi e scienziati, dagli antichi pensatori Greci agli scienziati dei nostri giorni, del carattere puramente linguistico del concetto di tempo e della sua estraneità alla natura. Il pensiero classico si è rappresentato il tempo non come linea retta che muove verso il futuro, cosa che per noi occidentali del XXI secolo sembra naturale, bensì secondo l'immagine di un serpente che si morde la coda o di un cerchio che ritorna su sè stesso da sempre e per sempre sotto l'azione del movimento degli astri che ne regolano il corso. Da qui il tempo ciclico è detto anche cosmico. Fu infatti l'osservazione della regolarità del moto degli astri e della costanza dei ritmi biologici a conferire, per estensione, un'analoga struttura ciclica al tempo nel suo complesso. basta ricordare che nella traduzione greca Urano, il cielo, è padrone di Crono, il tempo. Di conseguenza l'osservazione del cielo fu uno dei sistemi più antichi usato per misurare il tempo: fu proprio la rotazione degli astri infatti ad incuriosire l'uomo e a rendere possibile la nascita dell'astronomia, le cui prime tracce sono antiche quanto le tasse, risalgono a 10-15000 anni fa. Sono esempi dell'interattività del ciclo da una parte i fenomeni fisici come il ripetersi delle stagioni e i movimenti dei corpi celesti, dall'altra le abitudini sociali come il ritorno delle feste. L'invecchiamento e la morte sono testimoni però, per l'individuo, di processi irreversibili, non-ripetitivi, ed è la credenza nella sopravvivenza oltre la morte ad attenuare la contraddizione fra ripetizione e irreversibilità. In questa concezione, non esistendo un principio del tempo, un punto in cui il movimento inizia, né una sua fine, ma il tutto svolgendosi in modo uguale da sempre e per sempre, la durata del cosmo è una ripetizione di eventi, chiamata con un termine ben preciso: ANAKYLOSIS, cioè un ritorno eterno su se stesso. Nella cultura occidentale la riflessione sul concetto di tempo e sulle sue proprietà comincia con i filosofi greci, ma la diversità delle argomentazioni e dei punti di vista rendono evidente che non esiste una concezione greca univoca del tempo. Considerazioni molto interessanti sulla natura del tempo furono fatte dal filosofo greco Aristotele. Nel IV libro della Fisica Aristotele inizia la sua disamina del tempo con un paradosso. Il tempo non esiste: il passato non esiste perché non c'è più, il futuro perché non c'è ancora, il presente non è nel tempo perché esso separa ciò che è passato da ciò che è futuro. In quanto è qualcosa che può predicarsi del movimento, il tempo esiste laddove vi sono movimenti. "Questo, in realtà, è il tempo: il numero del movimento secondo il prima e il poi". Per Aristotele, il tempo è ontologicamente secondario, giacché non esiste autonomamente ma come predicato del movimento. L'aspetto temporale del movimento, il suo poter essere contato, dal quale sorge il concetto di tempo, è del tutto reale. Aristotele ha affermato, contro gli Eleati, che pensare il movimento è possibile, ponendo così le premesse per la concezione galileana dello spazio-tempo.

Il problema della longitudine
Dopo il lungo periodo medioevale, durante il quale il tempo viene indagato nei Conventi in relazione al computo della Pasqua, nel XVI secolo, in occasione dei grandi viaggi, le nozioni di "tempo" e "spazio" divengono concetti scientifici suscettibili di formulazione matematica e di misurazione; prima di allora erano nozioni di senso comune o argomenti di speculazione teologica e morale. I fisici insegnano che per misurare il tempo occorre riferirsi necessariamente al movimento di un corpo; supponendo il movimento uniforme, la misura del tempo è ricondotta a quella dello spazio percorso dal corpo preso in considerazione. Per definire il tempo si assume il movimento. Ma i fisici definiscono il tempo attraverso la sua misurare ciò presenta alcune aporie (dal greco ἀπορία "passaggio impraticabile, strada senza uscita"). E' necessario avere uno strumento che sia ripetitivo e contemporaneamente possegga un qualche elemento di novità. Ad esempio, in un orologio analogico con datario, le lancette ruotano ripetitivamente (tempo circolare) e il datario (tempo lineare) costituisce l'elemento di novità, cambiando data allo scoccare della mezzanotte. Il concetto di tempo possiede quindi ripetizione e differenza, caratteristiche che di solito troviamo separate. Il tempo esiste perché dipende dal ritardo e dall'anticipazione; gli eventi non accadono tutti insieme, c'è un prima e un dopo, un movimento attraverso cui si distingue un tempo. Fra i più antichi strumenti si possono menzionare gli gnomoni, le meridiane, le clessidre ad acqua e in seguito, quelle a sabbia. L'orologio meccanico è un'invenzione cinese e non serviva tanto a misurare il tempo, quanto a meravigliare, proprio come la polvere da sparo. L'orologio meccanico nacque dopo il viaggio in Oriente di Marco Polo, quando fu inventato quel meccanismo che è conosciuto con il nome di scappamento. Gli studiosi, per comune consenso, situano la comparsa dei primi orologi verso la fine del Duecento. Inizialmente la dimensione di questi orologi era notevole, così come la loro imprecisione, ma in seguito saranno miniaturizzati e perfezionati per permetterne l'uso sulle navi. Dopo il viaggio di Colombo, il perfezionamento degli orologi s'intreccia con la navigazione a mare aperto: l'unico modo per calcolare la longitudine è avere un orologio che non risenta del rollio della nave e della variazione di temperatura. Proprio nella navigazione sarà evidente la contraddizione fra tempo circolare e tempo lineare. Nel diario del veneto Pigafetta, imbarcato con Magellano nella circumnavigazione del mondo, è annotata una scoperta per l'epoca sconcertante. Quando a termine del viaggio verso Ovest sbarcarono a San Lucas, porto spagnolo dal quale erano partiti, si accorsero di aver perso un giorno. Per la prima volta gli Europei s'interrogarono sull'effettiva natura del tempo, ritenuto fino a quel momento, proprietà di Dio. Questa scoperta rese contraddittorio il concetto di tempo agli studiosi Europei: non riuscivano a spiegarsi perché navigando a Ovest si perdesse un giorno e nella direzione contraria lo si guadagnasse.Via via si fece strada l'idea che il tempo circolare sia una proprietà locale e che il tempo circolare non sia rappresentabile su una linea retta. Abbiamo già accennato che la storia dell'orologio è strettamente legata allo sviluppo della navigazione. Dopo il viaggio di Colombo, la Spagna, il Portogallo, la Francia, l'Olanda e l'Inghilterra acquisiscono nuovi possedimenti oltreoceano, s'intensificano gli scambi e aumentano le flotte. Questa situazione porta al vertiginoso aumento dei viaggi commerciali e della pirateria. Le scorribande e le razzie dei pirati erano facilitate dalla rotta obbligata che le navi dirette in America dovevano seguire, il parallelo dei Caraibi, dove, per i filibustieri, era sufficiente appostarsi lungo il percorso. L'orologio era dunque necessario per tracciare nuove rotte utili a seminare i pirati. La macchina per misurare il tempo, così come lo conosciamo oggi, nacque per soddisfare i bisogni della marina militare inglese. Nel 1714 la regina Anna d'Inghilterra approvò un atto del parlamento, il Longitude Act, allo scopo di individuare i metodi per accertare la longitudine in mare. Fu John Harrison, dopo tre tentativi, a costruire il miglior orologio. Il cronometro con cui finalmente Harrison conseguì il successo, l'H4, superò tutte le prove cui fu sottoposto per ordine del Consiglio della Longitudine, Larcum Kendall fece una copia dell'H4, che accompagnò il capitano Cook in uno dei suoi viaggi. Il grande navigatore confermò l'eccellenza delle prestazioni del cronometro, di cui poi Kendall costruì altri due esemplari semplificati. Fu questo il principio di semplificazione che, nel volgere di pochi decenni, portò il cronometro da marina alla soluzione finale, adottata per quasi cento-cinquant'anni. Fu sempre più chiaro che la storia della misurazione  della longitudine coincideva ormai con quella dell'orologio meccanico.

L'epoca moderna
 Fin qui abbiamo seguito percorsi convergenti alla tesi del "tempo" come ente linguistico; ma ora è giunto il momento di presentare l'altro polo dialettico della questione, attraverso la figura del campione del "tempo fluente e assoluto": Isaac Newton. Il filosofo inglese pubblicò i Principia nel 1867. Questo libro rappresenta sia per quanto concerne il metodo, sia per quanto riguarda i contenuti, il compimento di quella rivoluzione scientifica che, iniziata da Copernico, aveva trovato in Keplero e Galileo due dei rappresentanti più geniali e prestigiosi. I Principia iniziano con l'enunciazione delle leggi del moto, che Newton chiama anche assiomi, Esse però sono precedute da una serie di definizioni (massa, forza, movimento) che costituiscono i principi della meccanica classica. Tra queste, celebre è lo Scolio sullo spazio e sul tempo, incentrato sulla distinzione tra tempo e spazio relativi e tempo e spazio assoluti. Proprio qui, Newton introduce le due nozioni (che saranno oggetto di grandi dibattiti e contestazioni) di tempo assoluto e spazio assoluto: "il tempo assoluto vero e matematico, in se e per sua natura, fluisce uniformemente senza relazione a qualcosa di esterno, e con un altro nome si chiama durata; il tempo relativo, apparente e comune, è la misura sensibile ed esterna(....) della durata attraverso il mezzo del movimento, ed esso è comunemente usato al posto del tempo vero; esso è l'ora, il giorno, il mese, l'anno". "Lo spazio assoluto, per sua natura, privo di relazione a qualcosa di esterno, rimane sempre simile a se stesso ed immobile.". Mentre il tempo e lo spazio relativi appartengono a una dimensione sensibile (sono quindi relativi alla nostra conoscenza sensibile), il tempo e lo spazio assoluti sono invece veri e matematici, completamente distinti da qualunque loro misura relativa e sensibile. Il flusso eterno e uniforme del tempo (tempo assoluto) e l'estensione infinita dello spazio (spazio assoluto) costituiscono lo scenario al quale è necessario fare ricorso per definire lo stato di quiete e di moto dei corpi. Lo spazio e il tempo assoluti newtoniani sono, in ultima analisi, lo spazio e il tempo di Dio. La concezione di Newton trovò subito un fermo oppositore nel contemporaneo Gottfried Liebniz. Secondo il filosofo di Lipsia, il tempo è un fenomeno, ossia un modo in cui la realtà ci appare, anche se non si tratta di mera illusione, bensì di PHAENOMENON BENE FUNDATUM. Come lo spazio, è una risultanza fenomenica che scaturisce dal rapporto di coesistenza delle cose, così il tempo è la risultanza fenomenica che che scaturisce dalla successione delle cose. il fondamento oggettivo del tempo sta nel fatto che le cose preesistono, coesistono, post-esistono, ossia si succedono. Da questo noi ricaviamo l'idea di tempo. E' questa una tappa molto importante nella discussione circa la natura fenomenica dello spazio e del tempo; anzi, è addirittura una tappa indispensabile per comprendere la successiva "rivoluzione" che Kant compirà a questo riguardo. A questo punto interviene nel dibattito il grande Filosofo tedesco Immanuel Kant. Egli sostiene che "spazio" e "tempo" NON sono, come ritenevano i Newtoniani, proprietà delle cose, ossia realtà ontologiche, e neanche semplici rapporti fra i corpi, come credeva Leibniz: essi sono le forme strutturali della sensibilità. Spazio e tempo vengono così  a configurarsi, invece che come modi di essere delle cose, come modi con cui il soggetto coglie sensibilmente le cose. Non è il soggetto che si adegua all'oggetto nel conoscerlo, ma viceversa è l'oggetto che si adegua al soggetto. Spazio e tempo sono concetti intuitivi, innati; egli li chiama intuizioni trascendentali, categorie a priori della sensibilità. Essi non sono frutti dell'esperienza o della storia culturale, ma sono le condizioni necessarie per "fare esperienza di qualcosa". Da questo punto di vista non è più possibile determinare la verità dello spazio e del tempo assoluti, giacché aprioristici, spazio e tempo sono le condizioni stesse dell'esperienza sensibile e dunque della loro stessa determinazione attraverso l'esperimento. Nel corso del XIX e XX secolo, le tesi di Kant avranno un enorme successo, provocando in modo paradossale, nella fisica di questi due secoli, il disinteresse per il "tempo", che verrà considerato solo come quadro in cui si svolgono i fenomeni. A cambiare le carte in tavola ci penserà in seguito il filosofo francese Henry Poincarè, che darà un contributo notevole al dibattito sulla natura del tempo, e risulterà indispensabile per comprendere appieno le basi filosofiche e teorico-scientifiche su cui, in seguito, Albert Einstein formulerà la sua teoria della relatività. Einstein infatti formulò per la prima volta, in modo chiaro e distinto, conclusioni che erano già mature, e potevano ben scaturire, per esempio, dai lavori e dalle riflessioni del filosofo francese. Questi però, come spesso avviene ai grandi maestri della scienza, era convinto che i principi classici della fisica, così come i fondamenti più consolidati della matematica, non dovessero essere abbandonati se non in caso di assoluta e comprovata impossibilità di conciliarli con i dati empirici, magari con complessi e artificiosi aggiustamenti. In altri termini, Poincarè aveva chiara consapevolezza del carattere convenzionale di concetti come quello di spazio e di tempo; possedeva gli strumenti tecnici e concettuali per un approccio che cambiasse radicalmente i fondamenti della fisica. Per farlo occorreva però un atto di coraggio che può essere attuato solo da chi guarda la scienza con gli occhi stupiti e forse un pò ingenui di colui che è "nuovo del mestiere". Il filosofo francese fu un teorico del convenzionalismo scientifico, dottrina secondo cui la verità di una proposizione o di un insieme di proposizioni fisiche o matematiche dipendono sempre da un precedente accordo stipulato da coloro che devono far uso di queste preposizioni. Sia la geometria che la fisica derivano il loro rigore scientifico dalla loro natura convenzionale. Esse quindi non sono assolutamente una descrizione fedele del reale, ma sono frutto di un accordo linguistico. Albert Einstein con questa consapevolezza e con un grande atto di coraggio, mostrerà, in seguito, che non esiste un tempo assoluto che "scorra" uguale per tutti gli osservatori; quel che ne deriva è il cosiddetto "rallentamento degli orologi", fenomeno che possiamo concepire solo se ci riferiamo al tempo come attributo proprio di un sistema di riferimento. Il tempo scientifico non appartiene alla natura, ma al nostro modo di rappresentarla. In altri termini, un mutamento del concetto di tempo non comporta alcun mutamento dei fenomeni naturali ma solo un cambiamento della loro interpretazione. Questa nuova interpretazione non è più vera della precedente; ma solo più adeguata alla rappresentazione dei fenomeni. La ricostruzione delle peripezie del concetto di tempo consente di evidenziare la natura linguistica del tempo; e facilita la critica alla Reificazione del tempo presente nel senso comune, lasciando intravedere una libertà collettiva che sembra inedita solo perché rimossa; la libertà di riprendersi il tempo, di disporre del proprio tempo.
 

Commenti

Silvia Azzaroli ha detto…
Eccomi qui finalmente a commentare caro socio.
Articolo davvero interessante. Mi hanno colpito i vari riferimenti a filosofi e scienziati da Kant ad Einstein, in particolare il discorso che fai sull'esperimento degli orologi atomici mi ha aperto un po' la mente. Conoscevo già l'esperimento, ma non l'avevo mai considerato da questo punto di vista ovvero che potrebbe essere una prova che il tempo non esiste, così come la storia che si perde o si guadagna un giorno.
Buona domenica, Silvia
Anonimo ha detto…
Il tempo potrebbe anche non esistere, ma è cosa un po’ difficile da credere confusi come siamo in una vita regolata dal tempo fino all’ultimo secondo.
Ho trovato un libro interessante online dal titolo: IL TEMPO NON ESISTE su Altervista, è gratuito, e si affronta il tema sotto tutti gli aspetti, a volte in modo leggero e irreverente, altre volte più seriamente.
L’unica cosa è che l’autore ne carica un capitolo per volta e ancora non lo ha completato….

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